ASPETTI DI ETICA CLINICA
NEFROLOGIA E CURE PALLIATIVE
Il medico nefrologo prende decisioni in merito al trattamento dialitico sulla base di criteri clinici, strumentali, statistici e in relazione alle linee guida esistenti. Talvolta i criteri per arrivare alla scelta di iniziare o sospendere il trattamento dialitico non sono così evidenti.
Proporre al paziente una terapia senza indicazione clinica si configura come un errore medico in quanto essa non può essere considerata come clinicamente appropriata.
Dal punto di vista etico-clinico, in relazione alla scelta del trattamento dialitico, è utile distinguere il criterio di appropriatezza clinica (esso bilancia le condizioni cliniche e le possibilità che la medicina – in questo caso il trattamento dialitico- è in grado di offrire per quel singolo paziente) e il criterio della proporzionalità terapeutica (esso scaturisce dal rapporto tra le condizioni cliniche e lo stato esistenziale di un paziente con tutta la sua storia).
Il giudizio sull’appropriatezza clinica di un trattamento è competenza propria del medico e si fonda sulla sua competenza professionale, responsabilità e capacità decisionale. Tuttavia tale giudizio è solamente un primo passo per arrivare ad una ‘decisione buona’.
L’altro aspetto, il criterio della proporzionalità terapeutica, non si fonda unicamente sulla soggettività del paziente bensì sull’incontro tra due autonomie – quella del paziente e quella del medico – nel quale la bontà dell’opzione terapeutica si evince solo in relazione alla condizione esistenziale (una terapia può essere vissuta come lesiva del proprio benessere e dei propri obiettivi di vita da quel paziente in quella specifica situazione anche se dal punto di vista medico fosse riconosciuta come clinicamente appropriata).
Si evince quindi che l’alleanza terapeutica si compone di un incontro e di un confronto fra (almeno) due persone: il medico (la cui competenza porta a ritenere che un trattamento non appropriato dal punto di vista clinico non può essere somministrato – e nemmeno proposto al paziente - in quanto arbitrario ed illecito) e il paziente (egli, se in grado di intendere e volere, o un suo legale rappresentante possono rifiutare le cure ritenute sproporzionate) – Cfr. L.219/17*
* Nello specifico. “È promossa e valorizzata la relazione di cura e di fiducia tra paziente e medico che si basa sul consenso informato nel quale si incontrano l'autonomia decisionale del paziente e la competenza, l'autonomia professionale e la responsabilità del medico. Contribuiscono alla relazione di cura, in base alle rispettive competenze, gli esercenti una professione sanitaria che compongono l'equipe sanitaria”, l. 219/17.
Gli scenari di interazione fra nefrologia ed etica clinica, relativamente alla terapia sostitutiva (dialisi) si aprono sostanzialmente in tre possibili situazioni concrete:
1. Nel caso non vi sia una chiara ed evidente indicazione né controindicazione clinica all’avvio del trattamento dialitico;
2. Nel caso il paziente rifiuti di iniziare o continuare il trattamento dialitico anche se clinicamente indicato;
3. Nel caso il paziente non sia competente.
1. La complessità del paziente uremico in fase avanzata e i molteplici fattori implicati rendono a volte molto difficile per l’equipe sanitaria formulare un giudizio evidente e fondato di indicazione o non indicazione alla dialisi.
Compito dell’equipe in questi casi è informare il paziente in modo completo aggiornato e comprensibile della diagnosi, prognosi, prospettive di cura con i rispettivi rischi e benefici, esplicitando anche le possibili alternative e le conseguenze di ogni scelta. (Il paziente e, con il suo consenso, i suoi familiari o la parte dell'unione civile o il convivente ovvero una persona di sua fiducia sono adeguatamente informati, …, in particolare sul possibile evolversi della patologia in atto, su quanto il paziente può realisticamente attendersi in termini di qualità della vita, sulle possibilità cliniche di intervenire e sulle cure palliative” l. 219/17).
Si attua una Pianificazione Condivisa delle Cure (l.219/17 art.5) in accordo con il paziente e con il gruppo famigliare ove possibile, con la quale si opta per la scelta terapeutica che più soddisfi i criteri dell’appropriatezza e della proporzionalità. Vi possono essere anche situazioni nelle quali non si riesce a formulare una opzione terapeutica chiara, in questi casi è proponibile un percorso graduale, con inizio del trattamento dialitico “a tempo”, riservandosi di rivedere il quadro clinico con il paziente ad un tempo definito, pattuito con lui.
2. A parità di diagnosi, dal punto di vista etico, non vi è alcuna differenza tra non iniziare o sospendere un trattamento ove esso non sia più indicato e sproporzionato* (“il paziente non può esigere trattamenti sanitari contrari a norme di legge, alla deontologia professionale o alle buone pratiche clinico-assistenziali; a fronte di tali richieste, il medico non ha obblighi professionali” l.219/17).
In caso di rifiuto da parte del paziente di un trattamento già in atto o di iniziare un trattamento clinicamente appropriato, compito dell’équipe curante è in primis realizzare un dialogo pacato, onesto e chiaro con il paziente e i famigliari da lui coinvolti. In tale momento si dovranno chiarire le conseguenze che questa scelta comporti, cercando di garantire la dovuta assistenza per il tempo futuro. Il paziente è chiamato ad esplicitare le proprie idee, le proprie attese, i propri valori e tutto ciò che attiene alla propria idea di “qualità della vita”.
Nella dinamica di questa relazione si può realizzare la Pianificazione Condivisa delle Cure (l.219/17 art.5) in cui il medico/equipe sanitaria e il paziente costruiscono insieme il percorso di cura, scegliendone i modi, i tempi e gli strumenti clinicamente appropriati ed eticamente proporzionati che tengano in considerazione, ove e per quanto possibile, i desideri della persona ammalata.
*Non iniziare un trattamento. Decidere di non utilizzare alcuni trattamenti medici (es. nutrizione artificiale), ritenuti non proporzionati, per prolungare la vita ad un paziente non significa che si stia uccidendo il paziente: si sta permettendo al paziente di morire; 2 - Sospendere un trattamento. A parità di diagnosi decidere di interrompere l’uso di un mezzo che è già stato avviato (es. spegnere il ventilatore) perché considerato sproporzionato è dal punto di vista etico equivalente a non iniziarlo. Se è eticamente giusto non iniziare un trattamento in specifiche circostanze, è anche eticamente giusto sospendere lo stesso trattamento nelle medesime circostanze (in generale si può affermare che, se il percorso di cura non viene condiviso pienamente con tutto il personale sanitario, le difficoltà comunicative, psicologiche ed emotive spesso rendono più difficile e complesso interrompere un trattamento rispetto al non iniziarlo).
3.
Nel caso di paziente incompetente, non in grado di intendere e volere, è fermo il dovere, ove possibile, di rispettare le Dichiarazioni Anticipate di Trattamento eventualmente espresse dal malato.
Nel caso in cui il paziente abbia un rappresentante legale titolato a decidere (es. genitore di minore di età, tutore o amministratore di sostegno a ciò autorizzato dal giudice) questi dovrà essere coinvolto nel processo decisionale, così come dovranno essere sentiti anche i familiari o le altre persone vicine al malato in quanto testimoni privilegiati delle preferenze e dei bisogni del paziente.
Nei casi di paziente incompetente la difficoltà di scelta si pone quando l’indicazione alla dialisi non è così evidente né per il suo inizio né per il suo non inizio o sospensione perché il percorso del processo decisionale va composto solo con i famigliari. Lo strumento prezioso ed efficace in queste situazioni è il dialogo, sincero, trasparente ed empatico tra curanti e famiglia, esplicitando evidenze, dubbi, incertezze delle due parti. Anche in questi casi, in presenza di forti tensioni e conflittualità, qualora il medico avesse dei dubbi clinici fondati sull’indicazione clinica può essere proposto un inizio “a tempo” della dialisi al fine di valutare meglio la prognosi e l’andamento clinico.
Referenze:
- Codice di Deontologia Medica articoli 6,16,20,39
- Codice Deontologico dell’infermiere articoli 3,4,8,9,10,16,20,23,24,34,35,36,37
- Carta fondamentale dei diritti dell’Unione europea
- Convenzione Europea Diritti dell’Uomo e Convenzione di Oviedo
- Guide on the decision making process regarding medical treatment in end of life situations del Consiglio d’Europa The Barcelona Declaration on Policy Proposals to the European Commission on Basic Ethical Principles in Bioethics and Biolaw Convenzione ONU sulla disabilità.
LEGGE 219/2017
Il testo normativo è composto da otto articoli, coinvolgenti sia l’adulto che il minore. L’obiettivo della legge è riaffermare l’importanza del consenso informato sottolineando il diritto della persona malata di partecipare attivamente al percorso di cura nella malattia. La legge inoltre (art. 4) apre la possibilità di esprimere le proprie volontà in merito a quali trattamenti sanitari, accertamenti diagnostici e scelte terapeutiche ricevere in caso di eventuale incapacità di decidere di sé. In aggiunta (art.5) si ribadisce la possibilità per il sanitario di pianificare con il paziente un percorso di cura.
La legge quindi affronta tre importanti aspetti del processo di cura: il consenso informato (art.1), le Disposizioni Anticipate di trattamento (art 4); la pianificazione condivisa della cura (art 5)
Consenso informato (Art.1)
E’ la sintesi di tre diritti fondamentali della persona sanciti dalla Costituzione: l’autodeterminazione (art. 2), la libertà della persona umana (art. 13) e il diritto alla salute (art.32). Il consenso si fonda sulla “relazione di cura e fiducia” (L. 219/2017, art.1, c.2) tra paziente ed intera equipe curante. La persona ha il diritto di essere informata in merito al proprio stato di salute, ma non ne ha l’obbligo. Qualora il paziente non volesse essere informato, il personale sanitario può anche riferirsi ad un terzo scelto dal paziente, in grado sia di ricevere informazioni sia, eventualmente, di “esprimere il consenso in sua vece”. Il rifiuto all’informazione non può essere desunto paternalisticamente nell’interesse del paziente – come in passato – ma deve essere un rifiuto esplicito e deve essere annotato in cartella clinica e nel fascicolo sanitario elettronico e, in generale, su tutta la “documentazione sanitaria”.
Il quinto comma stabilisce il diritto della persona a rifiutare “qualsiasi accertamento diagnostico o trattamento sanitario”.
Disposizioni Anticipate di Trattamento (DAT, Art 4)
Ogni persona maggiorenne e capace di intendere e volere può, nelle Disposizione Anticipate di Trattamento (DAT), esprimere la propria volontà in materia di trattamenti sanitari, indicando un fiduciario che lo rappresenti. Si tratta di una scelta che può essere effettuata redigendo un documento, comunemente definito “testamento biologico o biotestamento”, in cui ciascun individuo, anche in piena salute, può dare disposizioni in merito a quali cure ricevere o non ricevere in caso, per patologia o evento traumatico acuto, non fosse in grado di decidere per se stesso e quindi in stato di incoscienza.
Nelle DAT si può disporre ad esempio il diniego a manovre rianimatorie o il rifiuto ad intraprendere e/o continuare l’impiego di supporti vitali. Le DAT possono essere espressione di iniziativa autonoma e unilaterale della persona, a prescindere da qualsivoglia relazione di cura con il medico anche se questo non è auspicabile né da promuovere perché è sempre bene sollecitare, anche per la redazione delle DAT, un dialogo aperto fiducioso e reciproco con il proprio medico di riferimento. Una volta redatte e firmate dalla persona e dal fiduciario devono, per essere valide, essere depositate presso il Registro dedicato del proprio Comune di residenza.
Pianificazione condivisa delle cure (Art. 5)
Nella pianificazione delle cure, riportata dal medico in cartella clinica, si esprime la volontà libera e consapevole del paziente circa la gestione dei provvedimenti sanitari, globalmente connessi alla malattia di cui è portatore ed alla sua prevedibile evoluzione.
La pianificazione condivisa delle cure è istituto diverso dalle “disposizioni anticipate di trattamento” (DAT) contemplate nell’articolo 4, pur essendo entrambe mezzo di autodeterminazione in materia di trattamenti sanitari.
Si tratta di differenze sostanziali che possono essere sintetizzate nei seguenti punti:
- la pianificazione condivisa di trattamento nasce esclusivamente e obbligatoriamente all’interno di una relazione, dialogo e confronto paziente-medico
- è relativa alla presenza (attuale non futura o ipotizzata) di una patologia cronica, invalidante e contraddistinta da un’inarrestabile evoluzione con prognosi infausta
- oggetto della pianificazione è la “cura” che non si esaurisce nelle scelte di singole terapie.
- qualsiasi persona malata o sana che sia può redigere le DAT mentre solo i pazienti possono condividere la pianificazione delle cure con il proprio medico.
- la pianificazione è un percorso che porta a bilanciare da un lato i desideri e i bisogni di cura della persona, dall’altro la responsabilità del medico di non abbandonare il paziente
- ciascuno dei due protagonisti partecipa alla relazione esprimendo le proprie prerogative per arrivare insieme alla scelta finale. Da un lato il medico esprime un giudizio sull’appropriatezza clinica di quel trattamento per quel paziente; dall’altro è solamente in questa relazione che si deve raggiungere un giudizio sulla proporzionalità terapeutica. Quindi, il paziente può decidere se accogliere le proposte terapeutiche del medico o respingerle: la volontà del paziente può discostarsi dalle proposte del medico.
Anche posizioni differenti necessitano di una sintesi che dovrà essere espressa nella pianificazione condivisa delle cure.
Il medico offre al paziente la propria competenza assicurandosi che la situazione e le opzioni terapeutiche siano state ben comprese: poi accoglie la scelta presa insieme al paziente senza abbandonarlo LEGGE 219/2017